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 il Museo archeologico nazionale di Cosa si trova ad Ansedonia, nel comune di Orbetello nella maremma toscana. Il museo raccoglie dei reperti rinvenuti nell'area archeologica di Cosa al cui interno si trova.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Toscana, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
 l Museo è stato realizzato grazie alla collaborazione fra lo Stato Italiano e l’American Academy in Rome. La lapide marmorea posta all’ingresso del museo ricorda coloro che ne hanno permesso la nascita: la marchesa Rita San Felice, Frank Brown, Giacomo Caputo, Guglielmo Maetzke e Francesco Nicosia. La sua creazione fu di quasi trent’anni successiva alla prima campagna di scavo, avvenuta nel 1948. Al tempo i materiali furono custoditi in un piccolo edificio moderno che si trovava sull’Arce di Cosa, ma F. Brown volle fin da subito realizzare un museo locale, dove esporre e custodire i numerosi reperti rinvenuti. Alla fine degli anni Settanta, dunque, fu costruito un nuovo edificio per il Museo all’interno delle mura romane, sopra la Casa del Tesoro di cui sfrutta fondamenta e pianta. L’insula corrispondente, compresa tra le strade 4, 5, M e N, è stata ampiamente indagata e ha permesso di riportare alla luce anche la Casa dello Scheletro e la Casa degli Uccelli. Originariamente dotato di una sola sala, nel 1997 il Museo aggiunse altri due vani, dedicati rispettivamente all’area del porto e alle fasi di frequentazione più tarda della città e ad una piccola aula didattica.


Larga parte dello spazio espositivo interno al museo è dedicato al materiale ceramico suddiviso per classi e aree di provenienza: ceramica a vernice nera, sigillata, ceramica italo- megarese, ceramica a pareti sottili e ceramica comune. - La ceramica a vernice nera, proveniente dalle abitazioni della città, comprende vasellame da mensa datato tra il III e il I secolo a.C. Tra i piatti ve n’è un esemplare con fondo decorato a rosette impresse a stampo e l’iscrizione graffita “SAL”. Vi sono poi le patere, piatti poco profondi con rialzo ombelicale cavo utilizzati durante libagioni rituali. Infine sono esposte le pissidi.
- Tra la ceramica sigillata è uno skyphos di età giulio-claudia, un vaso di ispirazione greca dotato, in questo caso, di due anse ad anello: presenta una decorazione a tema erculeo: una pelle di leone e una clava all’interno di una cornice di rosette e volute. Di particolare interesse è la coppa con sigillo in planta pedis, ovvero a impronta di piede. Il bollo al suo interno reca la firma di Sex. Murrius Festus, il vasaio attivo dal 50 d.C. circa. - Altra classe ceramica esposta al Museo di Cosa è l’italo-megarese, caratterizzata da coppe emisferiche prive di piede e realizzate a matrice, che trae origine dall’omonima produzione greca, nata a imitazione delle coppe argentee ellenistiche. A questa classe appartiene una coppa, decorata con rosone centrale da cui si diramano foglie di acanto e tralci vegetali, datata tra il II e il I secolo a.C.
- I vasi potori rientrano nella classe delle pareti sottili ed erano destinati al consumo di liquidi. A questi appartengono due esemplari restaurati: il primo presenta un corpo globulare con anse ad anello e una decorazione a diamanti, il secondo, invece, è emisferico, decorato a ragnatela e si data al più tardi all’inizio del regno dell’imperatore Claudio.
- Infine, l’ultima classe esposta è la ceramica comune, di uso quotidiano, tra cui brocche, pentole, olle e piccole anfore. A queste forme si aggiungono una serie di bottiglie fusiformi di varie dimensioni e un tegame dotato di tre piedi, funzionale alla cottura dei pasti direttamente sul fuoco.
Separata da quella di epoca romana, vi è una sezione dedicata ai materiali pertinenti ai periodi tardoantico e medievale. Per la tarda antichità si possono osservare manufatti ceramici che, in questo caso, non provengono da contesti domestici, bensì dal sacello di Liber Pater. Vi sono numerose lucerne, testimoni di un culto pagano notturno, recipienti per la preparazione e il consumo di cibo, e vasellame rituale. Quest’ultima categoria comprende recipienti crateriformi (è possibile che fossero impiegati per la mescita del vino) con superficie decorata da particolari appliques fittili conformate a serpente. Tra i reperti medievali, invece, si trovano maioliche arcaiche e ceramica invetriata, datate tra XII e XIV secolo d.C. e rinvenute entro la cisterna del castello sulla Collina Orientale.

Tra i rilievi, quello con rappresentazione di suovetaurilia] è particolarmente importante. La lastra, realizzata a bassorilievo, raffigura la processione sacrificale che prevedeva l’uccisione di un maiale, una pecora e un toro. Sono rappresentati due vittimari che procedono verso destra portando un toro sacrificale. Il reperto è stato riutilizzato come lapide per una tomba medievale ma in origine è verosimile che appartenesse alla sovrastruttura decorativa di un antico edificio di età giulio-claudia, un altare associato ad uno dei templi dell’Arce.
Interessante è anche il pannello con gli attributi di Minerva, proveniente dal sacello di Liber Pater e datato al I secolo d.C. Verosimilmente questo tipo di rilievo doveva fungere da rivestimento architettonico o da elemento decorativo.
Tra le erme conservate, tre appartengono alla tipologia con testa barbata di Dioniso, mentre una ci è giunta acefala. - L’esemplare rinvenuto entro il sacello di Liber Pater è particolarmente interessante: si tratta di un supporto da tavolino monopode, conformato a erma di Dioniso, realizzato in marmo lunense (I sec. d.C.)
- Il piccolo busto di erma con testa barbata di Dioniso, in marmo giallo antico, è altrettanto interessante poiché potrebbe rappresentare un tentativo di restauro antico: l’esemplare è attaccato con cemento ad un diverso pilastro, di calcare scuro. La datazione proposta si colloca tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C.
Sono numerosi i reperti che rientrano nella categoria delle teste, busti e torsi. I più importanti sono:
- La Testa di Ercole, in marmo pavonazzetto, proviene dal sacello di Liber Pater e appartiene ad un tipo che risale al IV secolo a.C. (prototipo lisippeo); la realizzazione di questo busto, tuttavia, risale al I sec. d.C. Dallo stesso contesto provengono anche la Testa di Afrodite e il Busto femminile, interpretato come possibile raffigurazione di Venere.
- La statuetta di Diana è stata rinvenuta all’interno della domus a cui ha dato il nome, la Casa di Diana. Realizzata in marmo bianco a grana molto fine (forse di origine greca), la figura indossa un chitone segnato da pieghe marcate, arricchito da una pelle di cervo che ricopre la schiena e si poggia sulla spalla sinistra. Dallo stesso contesto proviene anche una statuetta di cane, che si pensa dovesse accompagnare la figura della dea.
Tra i reperti appartenenti alla piccola statuaria, due sono a figura intera:
- La statua stante di Dioniso, con piccolo basamento ovale, proviene anch’essa dal sacello di Liber Pater; rappresenta Dioniso giovane, con la gamba destra poggiata ad un supporto intorno al quale è avvolto un tralcio di vite. Il modellato è molto morbido e lo stile con cui è resa la figura è stato associato a Prassitele. Si tratta di un prodotto di alta qualità realizzato a inizio I secolo d.C..
- La statuetta di Pan con le mani legate dietro alla schiena fu rinvenuta sotto le macerie della Basilica ,crollata a seguito del terremoto del 51 d.C. Lo stile, la posa, il modellato della muscolatura di torso ed arti, così come l’espressività del volto, si rifanno allo Stile ellenistico, in particolare a quello dell’Asia Minore occidentale (come Pergamo o Rodi). Si tratta di un prodotto romano, probabilmente di I secolo d.C., utilizzato per decorare un ambiente domestico.
All’interno delle sale sono conservati diversi esemplari: una statua maschile acefala seduta e semipanneggiata, modellata sul tipo statuario di Giove Capitolino e risalente al I secolo a.C.; un torso di statua maschile acefala semipanneggiata, identificato con Asclepio e datato al I secolo a.C.; una statua acefala di loricato risalente all’età Flavia; la parte inferiore di una statua maschile, probabilmente un senatore a giudicare dalla tipica scarpa legata alla caviglia, il calceus senatorius; la copia di un ritratto maschile, donato da Giorgio e Gianserio Sanfelice di Monteforte.


Le lucerne sono uno degli strumenti più comuni di epoca romana. Nel corso del tempo, le tre parti principali che compongono questo oggetto – corpo, ansa, beccuccio – hanno subito notevoli trasformazioni. Per questo motivo, spesso, hanno un ruolo rilevante nella definizione cronologica dei vari contesti di ritrovamento. Tra quelle esposte, particolarmente interessante è l’esemplare con sette beccucci e ansa con presa lunata.

La quasi totalità dei manufatti vitrei, rinvenuti in grande quantità durante gli scavi, sono frammentari. Questi materiali risalgono per la maggior parte ad epoca romana (seconda metà II sec. a.C.- prima metà V sec. d.C.), ma ve ne sono anche di periodo Ellenistico e Medievale. Tra i reperti di epoca romana si trovano vetri di finestre, piccoli oggetti circolari (forse pedine da gioco), parti di gioielli e tessere di mosaico. Spicca per colorismo una coppa emisferica a strisce policrome frammentaria, databile probabilmente al periodo augusteo, realizzata fondendo barrette di vetro colorate poste l'una accanto all'altra a formare un disco. Un altro manufatto di grande importanza, mancante della parte superiore, è il simpulum, un tipo di mestolo utilizzato per attingere il vino da contenitori profondi, realizzato in vetro blu e databile al I sec. d.C.. Sono presenti anche altre forme, come unguentari, coppe non decorate e piatti.

Sono numerosi gli strumenti realizzati in osso animale o metallo legati alla vita domestica e alle attività quotidiane. Si osservano oggetti legati alla cura della persona, soprattutto ad uso femminile, alle attività domestiche, all’abbigliamento e alla scrittura. Tra i materiali in osso e avorio si osservano alcuni spilloni o aghi crinali, aghi da cucito, bobine per il filo e stili per la scrittura. Gli spilloni erano utilizzati per realizzare o sostenere le acconciature femminili. Una lavorazione incompleta può indicare che lo spillone era utilizzato solo in fase di messa in piega, mentre lavorazioni o decorazioni particolari o le ridotte dimensioni (in modo che l’ago non fosse visibile all’interno dell’acconciatura) possono suggerire una funzione più prettamente ornamentale. Alcuni aghi, in osso e in bronzo, comunemente indicati come aghi da cucito, presentano una cruna o due o più fori di diverse dimensioni. Vi sono anche fuseruole, rocchetti e pesi da telaio, riferibili all’attività femminile del cucito, della filatura e della tessitura. Gli stili, invece, erano utilizzati per la scrittura su tavolette cerate: il corpo presenta una parte più tozza che va assottigliandosi in un’estremità appuntita. Alcuni strumenti potevano essere utilizzati per l’applicazione del trucco. Lo si può dire di strumenti in osso, tra cui due cucchiai detti ligulae: erano probabilmente destinati al prelievo e alla preparazione del trucco. I cosmetici impiegati erano contenuti in pissidi, cofanetti di cui la piccola figura di Diana che tende l’arco – qui esposta – poteva essere parte della decorazione. Inoltre, vi sono alcuni esemplari appartenenti alla decorazione applicata su oggetti domestici lignei e alcuni dadi (alea) da gioco, un passatempo molto comune in epoca romana.
Gli oggetti metallici comprendono utensili e manufatti di uso comune, strumenti chirurgici e da toilette. Non sempre è possibile identificare la diversità d’impiego. Tra le fibule ve n’è una del tipo “Aucissa”, un tipo molto diffuso e datato tra la fine del I sec. a.C. e la fine del I sec. d.C circa. Quest’ultima è particolarmente degna di nota poiché fu rinvenuta dagli archeologi nella malta dell’arco di accesso del Capitolium della città, che risulta così databile alla prima età imperiale. Vi sono poi elementi di chiavistelli e serrature, cardini e chiavi, maniglie, pinzette, fibbie, bracciali e anelli, sigilli, una applique a forma di delfino, parte di un incensiere e parti di una bilancia stadera (ad un solo braccio, differente dalla più comunemente nota bilancia a due piatti, detta trutina o libra). Poi ancora, chiodi, borchiette, alcuni campanellini detti tintinnabula, e una lama di strigile.
Due reperti, che non appartengono ad ambito domestico, sono degni di nota. Uno è un piccolo bronzetto realizzato in fusione, che rappresenta un giovinetto stante, di gusto ellenistico: è stato rinvenuto tra il materiale di riempimento dei paramenti delle mura cittadine e fece pensare ad una offerta votiva, per invocare la protezione divina sulle mura stesse. Assieme al bronzetto fu ritrovato anche un castone in ametista con la dea Tyche raffigurata su di esso. Il secondo reperto è la punta metallica di una hasta, con tracce del piombo fuso usato per infiggerla nel terreno. Questo reperto è particolarmente interessante poiché testimonia l’usanza commerciale di piantare una hasta nel terreno davanti all’edificio in cui si sarebbe tenuta una vendita pubblica di beni (vendere “all’asta”).

Le pareti interne delle ricche domus aristocratiche e dei più importanti edifici pubblici erano spesso decorate con intonaci dipinti. Purtroppo non sempre è possibile recuperare questo tipo di decorazione; tuttavia, in alcuni casi, i frammenti di intonaco dipinto raccolti hanno permesso di ricostruire gli schemi decorativi. All’interno del Museo ne sono esposte alcune porzioni, tra cui alcune appartenenti ad un pannello decorato ad uccelli e motivi vegetali su fondo giallo e cornice blu, proveniente dalla Casa degli Uccelli e risalente al periodo augusteo. Il pannello più grande, decorato in Primo stile, presenta una decorazione su più livelli: la parte centrale è organizzata per rettangoli verticali, ad imitazione forse di ortostati marmorei. I colori impiegati sono il rosso, il verde e il giallo. Questo pannello appartiene probabilmente alla decorazione dalla Casa dello Scheletro, in particolare al triclinium della domus. È stata proposta una datazione al I secolo a.C.






La statua di togato, risalente al I secolo d. C, è stata ritrovata all’interno della Basilica. La figura è stante e con il braccio sinistro doveva muoversi nel gesto dell’adlocutio, probabilmente con in mano un rotolo. Vicino alla gamba destra restano tracce di un elemento ai piedi della figura: doveva trattarsi di uno scrinium, contenitore per i rotoli, oggetto identificativo per una figura pubblica.
- Statua-ritratto risalente al I secolo d.C. ritrovata durante gli scavi della Basilica di Cosa, accanto alla statua di togato. La figura rappresentata è coperta da un pallio drappeggiato in modo complesso e cinto al di sotto del seno.
Entrambe le statue prese fino ad ora in esame, insieme ad un altro frammento non esposto, compongono un unico gruppo statuario risalente al I secolo d.C. che doveva essere posizionato sul fronte scena dell’Odeum di metà I secolo d.C. ricavato nella Basilica. Un’iscrizione riporta che L. Titinius Glaucus Lucretianus fece realizzare queste statue per dedicarle a Nerone, forse per ottenerne il favore. Il gruppo statuario doveva essere formato da tre figure appartenenti alla famiglia imperiale; al centro doveva trovarsi la statua di Claudio divinizzato (frammento non esposto), da un lato Nerone rappresentato come togato e dall’altra parte Agrippina Minore (la figura palliata).
- Busto ritratto di imperatrice Datato al I secolo d. C, è stato realizzato in marmo bianco a grana fine. Si presenta molto danneggiato, soprattutto il volto che è completamente distrutto; restano invece tracce di parte della capigliatura e delle orecchie. Poiché il volto non si è conservato, occorre basarsi su ciò che rimane della capigliatura per avanzare un’ipotesi di identificazione. La resa di questa, infatti, è tipica della acconciature femminili durante i regni di Claudio e Nerone; in particolare, questo tipo di capigliatura si riscontra nei ritratti di Agrippina Minore, con cui è stata identificata anche questa scultura.